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Cargeghe: com'era e com'è

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Vedute del paese dalla medesima prospettiva, negli anni '50 del secolo scorso e nel 2015.
Comparando le due istantanee è interessante osservare le modifiche e lo sviluppo del suo agglomerato urbano nel corso degli ultimi sessant'anni.  

Giuseppe Ruiu


Cargeghe negli anni '50 del XX° secolo



Cargeghe nel 2015 (foto Giuseppe Ruiu)


comparazione
                                                              




Piccola cronaca giudiziaria cargeghese

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Estratta dal quotidiano «La Nuova Sardegna», anni 1892 – 1921


a cura di Giuseppe Ruiu





15 ottobre 1892

al Tribunale Penale

Nell’udienza d’oggi, rappresentando il P.M. l’avv. Bertea, furono giudicati le seguenti cause:
-Pilichi Antonio Maria di Codrongianos e Serra Antonio da Cargeghe, appellanti dalla sentenza del pretore di Ploaghe 4 maggio 1892, che li condannò a 16 giorni di reclusione e Lire 55 di multa per oltraggio, a danno di Ruiu Francesco assessore comunale di Cargeghe; fu dichiarato non farsi luogo a procedere; difensori avv. Tanda e Mossa; parte civile avv. Stara Andrea.

25 gennaio 1894

Solinas Giovanni di Cargeghe: imputato di favoreggiamento condannato in contumacia a cinque anni di reclusione.

13 febbraio 1894

Cherchi Gavino Maria, contumace, di Cargeghe; imputato di appropriazione indebita qualificata. Condannato in contumacia ad un anno e 5 giorni di reclusione, condonati per l’amnistia. Difensore Soro Pirino.

21 aprile 1894

Corte d’Assise

Il dibattimento contro Giovanni Antonio Serra di Cargeghe cominciato il giorno 12 corrente, volge al suo termine.
Oggi la corte ha ordinato l’arresto di tre testimoni a difesa: Antonio Cuccuru, contadino di Bortigali, domiciliato a Cargeghe, Domenico Satta, calzolaio di Ploaghe e Gavino Cherchi, contadino, di Cargeghe, ritenendo false le loro disposizioni; il giudice Pietro Piredda è stato incaricato dell’istruzione del relativo processo.

7 ottobre 1894

Tribunale penale di Sassari

Fazzi Paolo fu Antonio di Cargeghe e Mozzo Pietro fu Giuseppe di Ozieri.
Appello da sentenza del pretore di Sorso. Imputati di lesioni personali reciproche. Confermata. Difensori Dessena e Sole.

1 febbraio 1895

Tribunale penale di Sassari

Carta Giuliano fu Giovanni di Cargeghe:
imputato di falso giuramento. Condannato d cinque mesi di reclusione, L.83 di multa e sei mesi di interdizione dai pubblici uffici.

30 settembre 1895

Tribunale penale di Sassari
udienza del 28

Dettori Quirico fu Maurizio, da Cargeghe; imputato di appropriazione indebita di quattro pecore. Non luogo per inesistenza di reato. Difensore Mossa.

6 ottobre 1895

Tribunale penale di Sassari

Manunta Antonio fu Giuseppe, di Cargeghe: imputato di coltivazione abusiva di tabacco. Rimandato a tempo indeterminato.

Demelas Matteo di Nicolò e Sanna Giovanni Antonio di Matteo, di Cargeghe: imputato di coltivazione abusiva di tabacco. Rimandato a tempo indeterminato.

30 ottobre 1895

Tribunale penale di Sassari

Pirastru Gavino fu Giovanni, di Cargeghe; imputato di minacce con armi. Condannato a dodici giorni di detenzione. Difensore Dessena.

5 dicembre 1895

Tribunale penale di Sassari
Udienza del 2

Marras Salvatore fu Gio Battista, da Cargeghe; imputato di lesioni personali per imprudenza e contravvenendo all’art.482 del Codice Penale. Condannato a 2 mesi di detenzione e lire dieci di ammenda. Difensore Berlinguer.

10 gennaio 1896

Tribunale penale di Sassari

Dettori Paddeu Quirico fu Maurizio, di Cargeghe; imputato di calunnia. Assolto per non provata reità. Difensore Carboni.

10 aprile 1896

Corte d’assise di Sassari

Ieri  è cominciata la terza quindicina con la causa contro Porcu Giovanni fu Stefano, d’anni 40, contadino, nato a Thiesi e domiciliato a Cargeghe, accusato d’avere il 23 agosto 1895 in territorio di Cargeghe ucciso Ruiu Antonio Maria, ferendolo con una roncola. Il Porcu ammette il fatto ma pretende d’avere colpito per legittima difesa e senza intenzione d’uccidere.

10 aprile 1896

Corte d’assise di Sassari

E’ terminata la causa contro Porcu Giovanni di Thiesi, domiciliato a Cargeghe, accusato dell’omicidio volontario di Ruiu Antonio Maria. I giurati hanno escluso la legittima difesa, ammettendo invece l’eccesso di difesa, senza l’intenzione di uccidere e con attenuanti.
In base al verdetto la corte ha condannato il Porcu ad anni sei e mesi otto di reclusione, danni e spese.

31 agosto 1896

Tribunale penale di Sassari

Derudas Antonio e Sanna Matteo di Cargeghe.
Assolti per non provata reità.

9 dicembre 1896

Tribunale penale di Sassari

Pinna Gio. Battista fu Paolo, di Cargeghe. Appello da Ploaghe. Amnistiato.

16 dicembre 1897

Tribunale penale di Sassari

Bazzoni Antonio e Ruiu Francesco, di Cargeghe. Confermata la sentenza di Ploaghe.

7 aprile 1898

Tribunale penale di Sassari

Cherchi Giovanna Maria, di Cargeghe; tentato lenocinio. Condannata a mesi tre di reclusione e L.100 di multa.

26 aprile 1898

Tribunale penale di Sassari

Fele Giovanni Antonio, Pani Giovanna, da Cargeghe; imputati di furto qualificato.
Condanna il Fele alla reclusione per mesi sei; assolta la Pani per non provata reità.

8 novembre 1898

Tribunale penale di Sassari

Pinna Marianna di Cargeghe; imputata di ingiurie; appello da Ploaghe. Confermata.

7 febbraio 1899

Tribunale penale di Sassari

Nieddu Antonio e Nieddu Quirico, da Cargeghe; appello da Ploaghe per danneggiamenti. Confermata.         

8 febbraio 1899

Tribunale penale di Sassari

Spanu Giovannico, da Cargeghe; appello dalla sentenza del pretore. Non luogo a procedere contro l’appellante.

26 marzo 1899

Tribunale penale di Sassari

Spanu Giovanni, da Cargeghe: appello da Ploaghe. Confermato.

11 maggio 1899

Tribunale penale di Sassari

Poddine Giovanni Antonio, da Cargeghe. Assolto per non provata reità.

30 novembre 1899

Tribunale penale di Sassari

Pulina Angelo da Sorso, Serra Baingio da Cargeghe; imputati di furto qualificato e tentato. Condanna il Pulina alla reclusione per anni 3 e mesi 9.

12-13 novembre 1907

Tribunale penale di Sassari

Sanna Maria Raimonda e Cherchi Maria Giuseppa ambe da Cargeghe; lesioni reciproche. Condanna la Sanna a mesi due di detenzione e la Cherchi a giorni 10 di reclusione applicando loro la legge del perdono.

25-26 novembre 1907

Tribunale penale di Sassari

Billi Stefano, da Cargeghe; furto qualificato. Condannato a mesi tre e giorni 28 di reclusione, con la legge del perdono.

9-10 gennaio 1907

Tribunale penale di Sassari

Soletta Gio. Antonio, da Cargeghe; appello per lesioni personali. Rinviato a tempo indeterminato.

13-14 aprile 1908

Conciliatore e Vice Conciliatore

Sono nominati vice conciliatori: Fancellu Giovanni, Cargeghe, […].

6-7 giugno 1911

Tribunale penale di Sassari

Nieddu Chiara Maria, da Cargeghe; furto qualificato. Condannata a mesi cinque di reclusione; sospesa per 5 anni.

8-9 novembre 1911

Sciola Giuseppe, da Cargeghe; renitente alla leva. Non farsi luogo per amnistia.

27-28 gennaio 1912

Tribunale penale di Sassari

Biosa Luigi, Biosa Giovanni Maria, da Cargeghe; lesioni personali colpose; il Biosa Giommaria inoltre di contravvenzione all’articolo 466 del Codice Penale.
Condanna il Biosa Luigi a L.125 di multa ed il Biosa Giovanni Maria, alla multa di lire 250 e lire 10 di ammenda. Sospende l’esecuzione per 5 anni.

16-17 marzo 1913

Ecco il ruolo delle cause da trattarsi dalla corte d’assise di Sassari presieduta dal cav. Marcialis nella quindicina che avrà principio il 21 marzo corrente:
2, 3, 4, 5 e 7 aprile: Arras Maria Giuseppa, da Cargeghe; accusata di duplice mancato omicidio in persona del marito e duplice contravvenzione al porto di arma.

24-25 aprile 1915

Tribunale penale di Sassari

Tolu Giovanni, da Cargeghe; appello da Ploaghe per frode in commercio e contravvenzione metrica. Assolto per inesistenza del reato di frode, e per amnistia nei riguardi della contravvenzione.

26-27 aprile 1915

Tribunale penale di Sassari

Cuccuru Salvatore, da Cargeghe; appello da Ploaghe per deviazione delle acque.
Assolto per mancanza di querela, trattandosi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

28-29 gennaio 1916

Tribunale penale di Sassari

Tanca Pietro, da Cargeghe; appello. Confermata.

25-26 novembre 1917

Tribunale penale di Sassari

Carboni Lucia da Cargeghe; appello da Ploaghe per diffamazione. Ritenuta responsabile di ingiuria e condannata a lire 50 di multa.

4-5 ottobre 1921

Tribunale penale di Sassari

Ugone Alessandro da Cargeghe. Appello da sentenza del pretore di Ploaghe. Assolto perché il fatto non costituisce reato.

***







L'agglomerato urbano di Cargeghe tra la metà del 1500 e gli inizi del 1600

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di Giuseppe Ruiu




Ipotetica ricostruzione grafica dell'abitato di Cargeghe 
tra la metà del XVI° e gli inizi del XVII° secolo



Attraverso le fonti storiche d'archivio è possibile delineare, con un certo grado di approssimazione, l'agglomerato urbano di Cargeghe e il suo territorio circonvicino tra la metà del 1500 e gli inizi 1600.

Il villaggio era raccolto intorno alla sua chiesa parrocchiale edificata in data imprecisata comunque verso la metà del XVI° secolo – probabilmente su impulso della famiglia sassarese dei Montañans-Castelvì feudataria del paese – forse su preesistenze di epoca anteriore. Le prime menzioni di tale edificio sacro con le sue originarie cappelle tardogotiche, sul lato destro della navata, risalgono al 1570. Delle cappelle del transetto invece rimane una consunta iscrizione all'interno della chiesa che rimanda alla loro edificazione nell'anno 1588, avvalorata da una citazione in un legato presente nei Quinque libri della loro elevazione nell'aprile dello stesso anno. In tali cappelle si denota il nuovo stile rinascimentale che si discosta dal tardogotico originario, sintomo questo che le maestranze di picapedrers sassaresi iniziavano ad assimilare gli stilemi portati nell'isola dai Gesuiti, insediatisi nella vicina Sassari pochi anni prima. A riprova di quanto asserito, nella cappella a cornu evangeliiè collocata una gemma-chiave di volta con il trigramma IHS, classico emblema della Compagnia di Gesù.

Pur ignorando la genesi del villaggio, indagini archeologiche condotte nel 1988 dalla dottoressa Giuseppina Manca di Mores (Aspetti topografici nel territorio di Cargeghe in età romana) indicano in località Santu Pedru e S. Episcopio (in realtà trattasi del sito di S. Procopio dove si trovava una chiesa oggi non più esistente) territori comunali a valle dell'attuale abitato, l'esistenza di un insediamento di lunga durata fra il II sec. a.C. e il VII d.C., posto intorno alla chiesa romanica di Santu Pedru, oggi anch'essa non più esistente ma menzionata nel Condaghe di San Pietro di Silki, e dal canonico Giovanni Spano nel XIX° secolo. Una certa tradizione popolare vuole che proprio in tale sito fosse ubicata la Cargeghe medievale.

Sempre la medesima tradizione, indica lo spostamento di sede del villaggio verso la metà del 1300 nell'odierno sito collinare che sovrasta la piana sottostante di Campo Mela dove passava la medievale via Turresa, la a Turre Karalis di epoca romana.
In virtù di ciò è possibile congetturare sulla ragione del cambiamento di sede dettata da ragioni sanitarie – la metà del XIV° secolo vide il propagarsi nel continente europeo e in Sardegna dell'epidemia di peste nera che rase al suolo intere comunità – ma soprattutto da motivazioni difensive e di controllo del territorio circostante, dato che in tale turbolenta epoca l'isola fu soggetta a uno stato di guerra permanente tra numerose forze in campo fra cui i primi feudatari del paese: la famiglia dei marchesi Malaspina, il Regno di Sardegna catalano-aragonese, l'altra famiglia di origine ligure dei Doria e l'autoctono Giudicato d'Arborea, a seconda delle circostanze in pace o in guerra tra essi. Seppur oggi meno evidente, la parte storica del paese è ubicata su un ciglione in una posizione dalla quale la vista spazia sulla piana sottostante e dalla quale il paese è raggiungibile superando un non indifferente dislivello; ubicazione che induce a considerare motivazioni di natura difensiva relativamente alla scelta del nuovo sito da parte dei suoi abitanti. Tutti i vari contingenti di armati irrompevano infatti nell'alto Logudoro attraverso l'arteria principale a valle e dunque ben visibili dal nuovo sito che consentiva ai suoi abitanti di approntare le difese necessarie e mettersi in salvo per tempo.
Nemmeno è da escludere che dal punto di vista urbanistico il villaggio fosse costituito “a grappolo”, ossia da modesti insediamenti umani posti a breve distanza sul territorio in prossimità di un fulcro comunitario costituito da un edificio di culto.

Alla metà del 1500, l'agglomerato urbano di Cargeghe, costituito da poche centinaia di abitanti, doveva essere compreso principalmente tra l'odierna parte alta di via Roma nei pressi de Sa piedade e la parrocchiale, con poche altre abitazioni sparse scendendo poco oltre il vecchio edificio comunale, in origine luogo di amministrazione civile e prigione.
Sappiamo da un documento redatto dal rettore Pietro Pilo nel 1893 – nel quale si favoleggia di una immaginifica Tresnuraghesdi Cargeghe - che proprio in tale sito sorgesse un nuraghe, all'epoca ancora visibile, ed altro non molto discosto da esso, i cui pochi resti sono ancora oggi osservabili e costituiti da alcuni grossi blocchi di pietra inseriti in un vicino muro al lato della via Roma.

Nei pressi della chiesa, forse sul lato destro dell'ingresso, era presente una tomba di giganti di epoca nuragica, così come ci viene descritta dal canonico Giovanni Spano nel 1873: “Pietre coniche fisse al suolo in forma di sepolture da gigante”. Tutto intorno alla chiesa, e di fronte ad essa, era ubicato il cimitero di Santu Chìrigu, di frequente citato dalle fonti parrocchiali, il cui portale d'ingresso e la parte alta del paese - la plaça de la parroquial Iglesia- sono ben descritti in un legato del 1739.
Tutti i ritrovamenti di ossa umane in questa area del paese dovrebbero essere inerenti a tale cimitero che raccolse anche gran parte dei deceduti, circa 332, dell'epidemia di peste che falcidiò il paese nell'estate del 1652. Tale sito già in epoche più remote dovette essere luogo di sepoltura data anche la presenza di una necropoli in ziro (tombe in giara)descritta sempre dal canonico Spano il quale, per le sue ricerche archeologiche in zona, si avvaleva della collaborazione del rettore di Cargeghe dell'epoca, il teologo osilese Filippo Felice Serra, storico appassionato e proprietario di una raccolta numismatica.

L'Oratorio di Santa Rughe, e il suo annesso cimitero, invece è di qualche secolo posteriore rispetto alla parrocchiale se prendiamo per buona la datazione del 1630 incisa in una parete all'interno di esso, anche se s'Obera deSanta Rugueè citata nei registri parrocchiali già dall'anno 1584, mentre la prima menzione dell'oratorio vero e proprio è dell'anno 1672. Una fonte della fine del 1800 descrive tale oratorio ancora ubicato alla periferia del paese... Tale informazione è alquanto indicativa per comprendere circa lo sviluppo urbano di Cargeghe nel corso dei secoli.

Il più antico accesso al paese doveva essere quello che saliva dalla piana sottostante, passante per Su chercu mannu, e arrivava in prossimità della fonte principale di Cargeghe, un tempo collegata direttamente ad esso da una salita oggi presente solo in parte. Superato tale dislivello si arrivava alla base del paese, ma per accedere alla parte alta si doveva superare una ulteriore salita che immetteva nel centro urbano vero e proprio.

Una fonte del 1570 menziona all'interno del villaggio la presenza di un non meglio specificato monastero: su muristere, ma si ignora la sua esatta ubicazione ne tanto meno si conosce l'ordine monastico a cui appartenne poiché tutte le altre fonti storiche tacciono della presenza nel paese di un tale edificio. La stessa fonte cita anche rare abitazioni a più piani (storicamente la casa sarda tradizionale era composta da un solo piano), come su palatu de mastru Pedru de Fiumen e un forno: su furrague, mentre altra fonte più tarda, del 1632, descrive un'abitazione – su istallude pianu de quexa - composta da ben diciannove stanze e un palazzetto, su palateddu, che dovrebbe riferirsi all'attuale casa parrocchiale.

Molti sentieri, caminos publicos,o pitiracas, circondavano Cargeghe. Alcuni di essi, di antichissima origine, salivano dalla principale via Turresaverso le colline interne rendendo più agevole il passaggio di pedoni, carri e animali. Tra essi quello denominato di sos Baiolos- in sardo medievale: i faticatori - che conduceva alla periferia del vicino centro di Ossi, così come un sentiero doveva condurre verso Florinas, ed altri “caminos publicos que falan dae sa idda de Cargegue a Sanctu Pedru”.

Il sentiero principale che conduceva verso il paese biforcava verso l'antica chiesa di Santa Maria de Contra: la Sancta Mariae in Contradelle fonti storiche (e da questa un altro sentiero ancora in parte esistente conduceva a quelle di Santu Pedrue di Santu Precòpiu) nei cui pressi era ubicato il piccolo villaggio (o romitorio) di Contra, estintosi precocemente.

In prossimità dell'antico agglomerato cargeghese erano ubicati i terreni di sua pertinenza: i boschi di querce dovevano essere molto estesi e fitti, dato che ancora oggi possiamo trovarne buone porzioni costituite da querce secolari. I terreni boschivi davano la possibilità agli abitanti del villaggio di fare la propria provvista di legna. Numerosi erano anche gli alberi di noci, mandorli e i ciliegi ben presenti nella memoria orale del paese, così come le vigne sempre menzionate in gran numero. Le viddazoni, terreni pubblici o privati coltivabili o per il pascolo si trovavano sia in prossimità del paese ma anche a valle e più oltre verso montes. Quelli di pertinenza della chiesa, ad esempio, sono descritti nel registro di amministrazione della parrocchia della metà del XVIII° secolo.

Alcune abitazioni, di modeste dimensioni e per lo più a un piano, avevano un proprio cortile, sa corte, dove poter allevare alcuni animali e magari coltivare un piccolo orto.
Gli olivi, che una certa tradizione storiografica vuole impiantati in Sardegna principalmente in epoca spagnola, dovettero essere presenti nel territorio già da epoche ben più antiche, anche se probabilmente non in gran numero.

Grazie a tali dati è stato dunque possibile ricostruire, sempre con un certo grado di sana immaginazione, l'assetto urbano del villaggio in tale epoca attraverso programmi di grafica e foto-ritocco, partendo dalle odierne immagini satellitari.



***

La casa parrocchiale di Cargeghe, foto-inchiesta

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di Giuseppe Ruiu


La casa parrocchiale di Cargeghe ha sempre attratto la curiosità di molti, forse per quell’alone di mistero che vi aleggia: c’è chi giura sulla presenza di arcaici tunnel voltati a botte celati nei suoi sotterranei, chi invece asserisce essere stato suo antico proprietario il famigerato Duca dell’Asinara, tra i più insigni e temuti feudatari di Sardegna. Niente di più è lecito sapere, nessuno studio specifico vi è stato mai condotto che si sappia.

Entrarvi significa compiere un viaggio a ritroso nel tempo e, solo per un attimo, sorvolando sulle ingiurie apportate dalla negligenza umana e dallo scorrere lento dei secoli in questo lembo di Logudoro, è possibile immaginare gli ambienti nel loro stato di grazia durante l’Età dei lumi. Ecco, d'improvviso pare quasi di scorgere una dama incedere con grazia, in un frusciare di sete, lungo gli anditi polverosi mentre al suo fianco, seguito dai lacchè, un nobile dell’Ancien régime dal volto austero le porge il braccio con garbo.

Chissà quali sfarzosi ricevimenti sotto le volte decorate dei saloni, quali riti e cerimonie settecentesche si celebrarono al riparo delle laccate porte di quercia… Oppure fu solo una rustica residenza di periferia abbellita per sostenere il rango del proprietario e rendergli più comode le battute di caccia nella zona?

Probabilmente non si saprà mai, quel che è certo è che oggi questa vetusta palazzina, di proprietà della curia di Sassari, versa in uno stato di forte degrado. Le pitture murarie, e gli stucchi, presenti al suo interno, già in parte deteriorati, rischiano di venire definitivamente compromesse.

La mancata salvaguardia e recupero della nostra cultura materiale non può essere giustificata dalla cronica mancanza di risorse finanziarie, e il senso civico ci impone ogni sforzo teso al recupero dall’oblio di questo edificio storico di sicuro pregio artistico che, senza dubbio, potrebbe raccontare di se parecchio se solo si avesse quella sensibilità che consente di percepire la sua silente richiesta di aiuto.

La sua probabile prima menzione, individuata dallo scrivente nei Quinque libri di Cargeghe, risale all'anno 1632, dove in un legato del testatore Juanne Anguelu de Serra Manca, vengono descritte le sue proprietà tra cui: “[...] su istallu sou de pianu de queya (q[ue] constat de 19 aposentos ey su palateddu)”. Trad.: La sua casa nel piano della chiesa che consta di 19 stanze e il palazzetto... e in effetti la casa parrocchiale consta di un numero di stanze molto vicino a quello indicato in questo documento, con il palazzetto ormai non più esistente, ma visibile in foto d'epoca degli anni '50 del XX° secolo.

Un'Altra fonte più antica, dell'anno 1570 menziona altro edificio a più piani quale: “su palatu de mastru Pedru de Fiumen” e, sempre all'interno del villaggio, si descrive la presenza di un non meglio specificato monastero: “su muristere”, ma si ignora la sua esatta ubicazione ne tanto meno si conosce l'ordine monastico a cui appartenne poiché tutte le altre fonti storiche tacciono della presenza nel paese di un tale edificio sacro.

Non è possibile mettere precisamente in relazione queste strutture con l'attuale casa parrocchiale, anche se la medesima in un lontano passato avrebbe potuto costituire un unico complesso con l'adiacente chiesa parrocchiale, come ben descritto in una anonima nota d'archivio sempre della seconda metà del XX° secolo:

“Accanto alla chiesa parrocchiale sorge il complesso, perché tale va definito, dell'attuale casa parrocchiale, antico palazzetto del Duca dell'Asinara.

È formata da un ampio corpo diviso a stanze e da un androne, ora trasformato in stanza d'ingresso, ma un tempo certamente androne carraio, dal quale si accedeva ad una torretta della quale restano solo alcuni ruderi, e che probabilmente ospitava un granaio ed un forno (ancora visibile).

Dietro la casa si estende un giardino fino a qualche decennio fa strutturato “all'italiana” e nel quale sono visibili resti cimiteriali, come d'altronde nei terreni adiacenti alla piazza della chiesa.

All'interno la casa rivela decorazioni accurate ed, alcune, di buona fattura e raffinatezza (specie nelle volte), con vari motivi a grottesche, paesaggi o motivi floreali. Le porte interne conservano, sotto la vernice, i colori e le decorazioni originali.”

La casa parrocchiale vista dalla via Roma 

Il complesso con la chiesa parrocchiale sullo sfondo 

Ciò che rimane delle strutture del palazzetto 
  
Vista delle strutture dal retrostante cortile parrocchiale 

Vista sempre dal cortile parrocchiale 

 Puntellamento dell'ingresso dal cortile

Ambienti interni 

 Ambienti interni, stanza decorata

 Ambienti interni, con porta d'epoca


 Ambienti interni che affacciano sulla via Brigata Sassari

Volte decorate 

 Volte decorate

Pittura muraria: visione immaginifica di
Venezia nell '800. 

Pittura muraria: paesaggio con castello e cascate,
e soprastante emblema dei duchi Manca

 Pittura muraria: paesaggio lacustre

Stucchi 

Stucchi con putti  

 Stucchi

 Altre decorazioni si intravedono
sotto lo strato di vernice

Le stalle 

Stalle: arco tamponato 

Stalle: porta murata che dà accesso ad
altri ambienti sotterranei

Il testamento dell'avvocato don Giommaria Satta, ultimo cavaliere di Cargeghe

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a cura di Giuseppe Ruiu


Riesumato dall'oblio degli archivi dopo un lavoro di ricerca, e trascritto fedelmente dall'originale in lingua italiana, l'inedito manoscritto, composto da sei fogli, del testamento orale fatto di fronte a testimoni con una dichiarazione solenne, dell'ultimo rappresentante della famiglia dei cavalieri Satta di Cargeghe (qui la loro genealogia), l'avvocato don Giommaria Satta Budroni - la cui non sempre lieta parabola terrena è stata descritta in altro lavoro -, rappresenta un prezioso documento della prima metà del XIX° secolo, di sicuro valore storico per Cargeghe, in virtù del fatto che egli lasciò beneficiaria della gran parte del suo patrimonio la chiesa del paese.
Per tramite della dettatura del morente, riportata con grafia decisa e mano precisa dall'estensore, il notaio Giovanni Maria Floris, è possibile rievocare le sue ultime volontà in tutta la loro morale e mortale ritualità.

Nella trascrizione ci si è attenuti alla grafia originale. Alcuni interventi sono stati effettuati esclusivamente nelle abbreviazioni, nella punteggiatura e nella resa delle maiuscole. Il tutto per uniformare il testo e renderlo più leggibile secondo criteri sintattici e ortografici moderni. I termini di interpretazione incerta sono compresi tra parentesi quadre con punto interrogativo.

Foglio I
«Testamento nuncupativo del signor avvocato Giommaria Satta cavaliere di questo villaggio di Cargieghe come infrascritto

L'anno del Signore mille ottocento trentuno ed allì undici del mese di marzo in Cargieghe

Nel nome del nostro Signore Gesù Cristo della Santissima Vergine Madre Maria, e più Santi della celeste patria.

Dovendo tutti morire nel tempo, ad ora incerta; quindi [?] che io avvocato Giommaria Satta cavaliere di questo villaggio deposto in letto, oppresso da corporal malattia, sano però di mente, vista, udito, e con chiara favella faccio questo nuncupativo testamento presso l'infrascritto notario di mio ordine chiamato e da me pregato nel modo e forma seguente.

Raccomando l'anima mia al suo Creatore, acciochè come degnossi redimerla col preziosissimo suo sangue, si degni così bene riceverla nella Sua alta Gloria. 

Eleggo sepoltura ecclesiastica, in questa parrocchial chiesa, al mio cadavere nella capella patronato sotto l'invocazione delle Anime del Purgatorio, vestito di abito bianco e posto entro una cassa nuova foderata di velluto nero in setta, con zallona d'oro vero, ivi portato dai confratelli dell'illustre Arciconfraternita di Santa Croce, di cui ne sono attual priore, con dare al detto oratorio dodici candele di cera tre a libra, le quali si porteranno dai confratelli per accompagnare il cadavere in detta parrochial chiesa, senza computarsi questo nella funeralia, accompagnato dall'apparato con tre pause così dette, con applicarmi quattro messe d'apparato una corpore presenti, la seconda il giorno del terzo, la terza il giorno settimo e la quarta il giorno trigesimo, con mettere nell'altare al tempo della vispertina il numero di dodici candele da tre a libra ed altre dodici in giro del cadavere al tempo della messa e responsorio corpore presenti; per tutto il quale lascio la somma di scudi cento moneta sarda che perciò dovrà vendersi l'argenteria, le botti ed altri mobili ed utensili di casa, eccetuati quelli come infra [predigati?]; e non bastando questo dovrà pagarsi alla vendita delle mie peccore ed il sopravanzo di essa partita dovrà applicarsi in tante messe basse, in suffraggio dell'anima mia, per cui ed a questo solo riguardo né incarico il paroco pro tempore di questo medesimo villaggio, che nomino

foglio II
per esecutore per la sola asistenza alla vendita, affinché si eseguisca il disposto della sola mia funeralia ed impiego di detta somma come sopra.

Lascio a riguardo di legato alla vedova Maria [Sechi?] di questo villaggio, un rasiere di grano, a Maria Tolu Demartis mezzo rasiere di grano, a Gian Gavino Tolu altro mezzo rasiere di grano, per una volta soltanto, a riguardo della servitù che mi han prestato quali legati, si davano dal mio esecutor testamentario nominando dopo seguito il mio decesso, del grano si troverà in magazzino e nel caso non verrà trovato, dal grano della prima raccolta.

[Prelego?] alla baila o servante Maddalena Saba tre rasieri di grano, per una via tantum, da darsi come [?]. Inoltre lascio alla stessa Saba qualche utensileria di cocina che le abbisognasse, e qualche altro per la farina colla tavola di noce per fare il pane, da scegliersi li utensili d'accordo dell'esecutore nominando.

Di più lascio alla medesima servante Saba uno dei due otri esistenti nella stanza ove essa dorme, a scegliersi a di lei piacimento, insieme al cortinaggio di tela, pagliericcio con materazzo e tre coperte di lana gialla alquanto usate ed un poco di lenzuolla nuovi, tela ordinaria.

Alla figlia di essa Maddalena, detta Lucia, lascio così come jure legati il sofà, che si destinò a Cicitu mio, fu mio figlio, allor quando andiede in Sassari agli studi, col picol pagliaricio, matarazzo coperta di lana ed un paio di lenzuolla nuovi, tela ordinaria, se vene fossero rinchiusi e conservati nella cassa grande nera, lascio jure legati alla figlia dell'oggi difunta Maria Ritta Pinna, chiamata Cattarina e del vivente Salvatore Pitalis, l'altro cortinaggio esistente nella medesima stanza oggi giorno, ove dorme la detta baila Saba, insieme con trepiè e tavole d'altro letto, ed un poco lenzuolla e coperta sia bianca che d'altro colore sevene fosse, e ciò a riguardo della servitù, che prestò in casa la detta defonta madre Maria Ritta ed a me.

Lascio così bene a riguardo di legato a Giovanni Antonio Carta di questo villaggio, la sciabola colle monete d'argento, due tratti di terra aratoria sitti in questi territorri, e nella vidazoni di Campo di Mela, denominati uno Su Narbone di Santu Pedru e l'altro Sas coas de molinu in considerazione della verace stima e della comune benevolenza che da cugino, quale egli [?] è, mi professa.

Foglio III
Similmente lascio jure legati al bailo e servitore Antonio Uda, la tentorgia che ho della cavalla grande ed al figlio Giuseppe la polledra, in compenso della servitù che mi prestarono.

Lascio a riguardo di legato alle monache capucine della città di Sassari, annualmente ed in perpetuo, un rasiere di grano, coll'obbligo di farmi applicare annualmente e perpetuamente tre messe basse.

Voglio che recandosi annualmente per la questua li religiosi operanti di Terra Santa, si dia alloggio nelle case destinando per legato del detto Antonio Uda e Maddalena Saba, con prestare da questi ad essi religiosi l'attendenza con provvederli a spese dell'asse ereditario, di letto, d'alimenti tanto per essi che per i cavalli saranno necessari, e ciò annualmente e perpetuamente.

Lascio alla parrochial chiesa del villaggio di Muros, sotto l'invocazione dei Santi Martiri Gavino, Protto, e Gianuario il salto di terra aratoria posto in Campu de Mela, una parte del quale si chiama Serra Mamone, e l'altra parte di [Scala?] Mamone, coll'obbligo di celebrarsi perpetuamente un anniversario con messa apparato e responsorio solenne annualmente e perpetuamente nel giorno del mio decesso, con [?] nell'altare nell'altare maggiore (sic) sei candele di libra.

Voglio che mentre vivano li predetti congiugi bailo Antonio Uda e baila Maddalena Saba godano a vitta durante possiedano la porzione dello stallo di mia attuale abbitazione, cioè la stanza ove attualmente detta Maddalena dorme, colla cocina oggi giorno di mio uso, colle rimanenti stanze attigue pur poste di basso, coll'obbligo d'alloggiare una volta l'anno recandosi per la questua li religiosi operanti di Terra Santa, somministrandoli la sola attendenza, e dello stesso modo si darà alloggio ed attendenza alli [?] delle monache capucine, e regio spedale di Sassari.

Lascio al paroco pro tempore di questa paroqial chiesa il rimanente di questo mio dominario, con tutto il giardino annesso dei portogalli (aranci - ndc), vitti, ed altri alberi fruttiferi, che lo compongono, coll'attigua vigna detta di Cannedu vanno, ed alberi di olivo e sue pertinenze, coll'obbligo perpetuo d'applicare e far applicare settantacinque messe basse annualmente in suffragio dell'anima mia e di più a tutti miei congiunti

foglio IV
seconda di mia intenzione; di celebrare la festa di San Giovanni Battista con vespro e messa in apparato il giorno in cui cade, con mettere all'altare all'altare maggiore (sic) e nel caso in cui la capella di esso Santo, nella medesima, con accendere in esso altare il numero candele di tre a libra dodici e senza accendere, cioè cera nuova: ugualmente sarà obbligato il paroco pro tempore fare tutte le necessarie riparazioni in esso dominario, come anche nelle muraglie del giardino, ripparato ed in buono stato ed al dovuto tempo coltivato e mantenuto lo stesso giardino e vigna qual buon padrone di famiglia. 

Seguita poi la morte dei predetti baili coniugi Antonio Uda e Maddalena Saba, prevenga allo stesso paroco pro tempore la porzione dello stesso Stallo e tutto unito lo possieda il medesimo paroco, coll'obbligo della perpetuamente applicazione di altre quaranta cinque messe basse, formanti quelle e queste di totale numero di cento venti messe basse annualmente e perpetuamente; e nel caso che per un solo anno lasci esso reverendo paroco di coltivare ed attendere esso giardino e vigna, ripparare ed attendere il dominario e [?] come sopra da quel paroco contraventore, decada dal possesso durante il tempo starà paroco; ed in tal caso, l'ordinario, colle stesse condizioni ed obbligo del paroco potrà nominare altro soggetto di suo piacimento purché sia persona ecclesiastica o sacerdote e la tal persona non adempiendovi, decada dallo stesso possesso come il paroco contraventore, come pure dandosi il caso di essere vacante la parochia, durante la vacanza della medesima, possieda colle stesse condizioni ed obbligo esso dominario, giardino e vigna, la stessa parochia e non in altro modo e forma.

Interrogato io testatore dall'infrascritto notario. Rispondo non lasciar partita di danaro a questo montenumario (monte nummario - ndc) né di soccorso: partita, elemosina, ne cosa alcuna al riscato dei [?], né al conservatorio delle figlie della provvidenza; e solamente lascio al regio spedale della città di Sassari, la limosina di corbole (ceste - ndc) tre di grano annualmente e perpetuamente, da consegnarli all'occorrenza una l'economo spedaliere per la questua in questo villaggio e non altrimenti.

Dichiaro che il rasiere del grano come sopra lasciato alle monache capucine di Sassari, debba consegnarsi all'economo di esse venendo in casa per l'annuale 

foglio V
questua del grano, per condurlo ad esso monastero capucino.
Nei rimanenti dei miei beni presenti e futturi, e per avere in qualunque modo e forma a me spetanti, instituisco per mio erede universale questa parochial chiesa di San Chirico (sic) sotto l'invocazione dei Santi Martiri Quirico e Giulita, nell'obbligo di far il trentenario, computandosi nel medesimo le quarantore che nell'ultimi tre giorni di carnevale con dire ogni sera il rosario, le litanie della Madonna, ed in fine la benedizione col venerabile e responsorio alle Anime del Purgatorio, con annessi diciotto candele nell'altare maggiore, e nella settimana di Passione, il settenario della Madonna Adolorata, da celebrarsi nella stessa parochia ed altare maggiore, con accendersi ogni sera dodici candele di tre a libra, non più [?] accesa e venti quattro il giorno della festa, con messa d'apparato, con fare una lapide di marmo nella detta capella patronato colla sua iscrizione, ossia epitaffio a piacimento del paroco, e sotto la lapide, la tomba, in cui deve esser riposta la cassa col cadavere, il quale voglio che per nissun titolo venghi rimossa e non altrimenti; come pure voglio, che quando vi saranno fondi dai frutti che procurerà da detti rimanenti beni, si faccia in detta chiesa la capella di San Giovanni Battista col suo altare, il simulacro della Vergine Addolorata colle spade d'argento: e finalmente voglio, che qualora vi siano frutti provenienti da detti beni, che si impieghino a beneficio di essa chiesa parrocchiale purché non si impieghino in lingeria, in ornamenti, in cera, in oglio, e cose simili, per la di cui cura ed esecutore di questo mio testamento nomino l'ordinario, [affinché?] nel modo sovra ordinato faccia eseguire, ed eseguisca quanto in questo mio testamento ho prescritto, sempre detti miei beni, si possano alienare o commutare, per qualsivoglia titolo da qualunque soppresione, ancorché sia il romano pontificio, e nel caso si voglia commutare od alienare, voglio, ed a mia irrevocabile volontà, la quale voglio, che non ammetta interpretazione alcuna, che tutti i [?] rimanenti beni lasciati a questa chiesa parrochiale nella qualità d'erede, di [condursi?] e di applicarsi in tante messe private fra lo spazio di due mesi, in suffragio dell'anima mia, dei miei genitori, e del fu zio Sacerdote Giovanni Budroni, autorizando nel caso di commuta ad alienazione che si prettendesse, il paroco pro tempore a sostenere questa mia volontà in quanto sarà possibile, con fare anche dalle spese dei frutti di detti 

foglio VI
miei [?] beni lasciati a questa parrochia. Sarà inoltre questa parochia obbligata ha (sic) celebrare annualmente e perpetuamente, cinque anniversari, uno il giorno del mio obito, il giorno dell'obito dei miei genitori, in quello dell'obito del mio fratello domenico, ed in quello dell'obito del fu mio zio fu Giovanni Budroni, coll'obbligo pure di dare al paroco pro tempore scudi sei il giorno della festa della Vergine Addolorata ogni anno perpetuamente, con questo che abbia sorvegliato sull'adempimento di tutti i legati perpetui, nel caso non abbia così adempiuto, cioè di sorvegliare, voglio che pur quell'anno, o anni, sia egli [privo?] del legato delli scudi sei.

Questo è il mio testamento, ed ultima volontà mia, che voglio valga per tale e se per tale voler non passa, voglio valga per codicillo, donazione causa di morte, od in altra miglior maniera possa aver luogo in dritto, rivocando qualunque altro testamento da me precedentemente fatto, mentre il presente voglio sia posto nella totale esecuzione il quale per essermi stato letto dall'infrascritto notaio alla presenza dei [?] testimoni in alta, ed intelligibile voce, dalla prima fino all'ultima riga e pur anessa come intelligente capitolo, per capitolo ben compresa la loro forza, in ogni sua parte l'approvo, ratifico e confermo e prego li sette [?] signori testimoni, unitamente allo stipulante notario, abbiano da soscrivendo e lo soscrivo io di propria mano di [?] = Cavaliere Giommaria Satta =

Testi presenti alla lettura di questo testamento, pregati da detto testatore, sono i sottoscritti [?]

sacerdote Antonio Cherchi teste = sacerdote teologo Francesco Maria Polo teste = sudiacono Salvatore [?] teste = chierico Luigi Tolu teste = Giommaria Pisano teste = Giuseppe Demelas teste = Giuseppe Tolu teste = Giommaria Floris notario pubblico. 
[…]
Cargieghe, li 11 marzo 1831»

Sassari, Biblioteca Universitaria, Fondo Soppresse Corporazioni Religiose, ms 698, CNMD\0000046270, cc. 154r-157v


Intestazione


Ancora sulla chiesa di San Procopio

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di Giuseppe Ruiu



Nel precedente studio: San Procopio di Cargeghe, ipotesi sull'ubicazione della chiesa ruraleera stata indicata - in base a consultazione di documenti d'archivio e indagine toponomastica -un'area nella quale si pensava fosse anticamente ubicata la chiesa campestre, oggi non più esistente. 
Ricadente nel territorio, a valle dell'attuale abitato, dove la tradizione popolare ritiene fosse stanziata Carieke, la Cargeghe medievale. Tradizione, sembrerebbe, supportata da indagini archeologiche condotte alla fine del secolo scorso. 
Grazie a una memoria orale, pressoché sconosciuta, è possibile circoscrivere con più precisione il sito dove si ritiene fosse anticamente collocato l'edificio di culto.
Materiali lapidei e frammenti ceramici in superficie sparsi sul terreno, indicano forse la presenza di una struttura in muratura. 
L'area conservava, almeno fino al XVIII° secolo, l'agiotoponimo di Santu Procòpiu o Precòpiu, come indicato nei registri parrocchiali dell'epoca.



















Giovanni Tolu sui quotidiani italiani della fine del XIX° secolo

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A cura di Giuseppe Ruiu


Fedele trascrizione di alcuni articoli apparsi sulle colonne del Corriere della Sera e della Stampa, nell'ultimo ventennio del XIX° secolo, sulla mitizzata figura del bandito-eroe popolare Giovanni Tolu di Florinas.


Ritratto di Giovanni Tolu eseguito a Sassari dal fotografo
Averardo Lori e tratto dal libro di Enrico Costa del 1897


LA STAMPA
Martedì 13 settembre 1882
LETTERE SARDE
Processo Tolu

Contrariamente a quanto, per equivoco, vi scrissi in altra mia, il processo del famoso ed ultimo bandito sardo, Giovanni Tolu, si farà davanti alle Assise di Frosinone. Lunedì scorso il Tolu fu tradotto, da un drappello di carabinieri, a bordo del piroscafo Adriatico che partiva per Civitavecchia.


Testata della Gazzetta Piemontese del 1882
che in seguito cambiò il nome in La Stampa


Il disegnatore Giorgio Ansaldi (in arte Dalsani) 
corredò il testo del Costa del 1897 con alcune 
vignette ritraenti le vicende del Tolu 



IL CORRIERE DELLA SERA
Domenica 22 ottobre 1882
UN FAMOSO BANDITO ALLE ASSISE

Alle Assise di Frosinone è incominciato il processo di Giovanni Tolu, il famoso bandito della Sardegna.
All'epoca del suo arresto, i giornali parlarono a lungo di lui, era una cattura importante per la giustizia.
La storia risale al 1850. Un giovino sui trent'anni, bello, robusto, fiero, amava ardentemente una figlia dei campi in Florissa (Florinas - ndc) (Sardegna), e ne era teneramente riamato.
Prossimi a congiungersi in matrimonio, passavano le ore lieti e contenti.
Tutto sorrideva ai giovani fidanzati, quando le arti seduttrici di un prete, giunsero a far vacillare nel cuore della fanciulla il sentimento puro e gagliardo che nutriva pel suo innamorato.
Ella fu tratta dal fascino irresistibile dell'amore proibito, ascoltò la voce del seduttore, amò e cadde.
Colpito in quanto aveva di più caro, perduta ogni illusione della vita, l'amante offeso giurò di vendicarsi, e mantenne il suo giuramento.
Il prete seduttore cadde sotto i colpi del moschetto dell'innamorato tradito e se non dette fuori l'ultimo respiro non avvenne certamente per volere di colui che aveva voluto ad ogni costo vendicarsi.
Compiuta la vendetta, ed abbandonata la donna il giovine Otello si diede alla campagna.
Solo, affranto dal dolore, ricercato dalla giustizia, il fiero isolana vagava nei campi, tirando a stento la vita, quando nel 10 giugno 1853 fu attaccato dalla forza, e volendo ad ogni costo garantire la sua libertà, tolse la vita ad un carabiniere, e fu salvo.
Di animo disinteressato, egli era generoso verso i pastori, dai quali veniva sempre protetto ed aiutato per eludere la forza pubblica.
Spesso veniva scelto quale arbitro nelle questioni che si agitavano fra la gente di campagna ed egli vi recava la sua parola autorevole e di pace, proteggendo sempre i deboli contro i più forti.
Nelle campagne di Sardegna egli era temuto e rispettato.
Una volta gli furono ammazzati sette buoi – appartenevano in parte a lui in parte alle sorelle – avrebbe potuto vendicarsi, uccidendo e devastando la fattoria del nemico.
Invece, mandò a dire agli autori della strage dei suoi buoi che se non avessero restituito il mal tolto o rifatto il danno, avrebbero avuto a che fare con lui. Tanto bastò perché quei cotali s'affrettassero a pagare.
Girovagando per i campi, egli andava fiero della sua libertà, e diventava terribile, quando trattavasi di difenderla contro chi lo attaccava.
La giustizia però continuava le sue ricerche, e sebbene il bandito avesse avuto l'arte di nascondersi per ben altri sedici anni, ingraziandosi sempre più quelle popolazioni della campagna, nel 21 marzo 1859 fu sorpreso dai carabinieri nel tenimento della Nurra, mentre placidamente riposava le sue membra sotto una capanna.
La capanna non aveva che un'uscita: questa era occupata dai carabinieri; non v'era scampo pel bandito; la sua libertà, la sua vita, tutto era perduto, ma gli resta ancora la sua carabina. Egli l'impugna, e con l'arma alla mano, stendendo al suolo un vice brigadiere ed un carabiniere, si apre il varco alla campagna e spazia di nuovo per il campi.
Per tali delitti fu giudicato in contumacia e condannato a morte.
Conosciuta la condanna, egli diventò sempre più fiero della sua libertà, che cercò ad ogni costo di difendere; ma nell'anno 1880 finalmente fu arrestato, ed oggi è chiamato a rispondere dei suoi delitti innanzi la Corte d'Assise di Frosinone, cui fu rinviato alla Corte di cassazione di Roma Giovanni Tolu ha oggi 63 anni, è basso della persona, ma ha larghe spalle e largo il torace, ciò che rivela una forza erculea.
Di viso piuttosto bruno, ha lineamenti perfetti, lunghi capelli e brizzolati; veste il poetico costume degli isolani.

Testata del Corriere della Sera del 1897


Vignetta del Dalsani


LA STAMPA
Sabato 28 ottobre 1882
REATI E PENE
Giovanni Tolu, bandito sardo

Giovanni Tolu il celebre bandito sardo, venne assolto dalla Corte d'assise di Frosinone, ed ora quel vecchio quasi sessantenne, che passò trent'anni della sua vita perseguitato dalla pubblica forza, ritornerà pacifico borghese in Florinas, suo paesello, dove gli vogliono un bene dell'anima; sarà fatto consigliere, e chi sa, forse anche sindaco.
Vediamo se ne abbia i titoli, riandiamo la vita passata di quell'uomo leggendario, la di cui sorte, dopo l'arresto, interessò l'isola intiera, e venne assolto tra gli applausi d'una civile città del continente.

*
* *

Risaliamo a 32 anni addietro. Tolu era un povero giovine contadino di Florinas, paesello vicino a Sassari.
A 27 anni si invaghì di una bella contadina del paese, nipote della perpetuadel sacerdote Giovanni Masala Pittui.
Il sor reverendo che s'aveva visto venir su in famiglia quella ragazza, e se l'aveva ingrassata col riso, vide di mal occhio che essa sul più bello si allontanasse che altri s'immischiasse nell'azienda del suo pollaio.
Perciò prese a malvolere e a perseguitare il Tolu, dicendone corna con la di lui sposa.
Il Tolu proibì alla sposa di recarsi in casa del reverendo perché sulla di lui relazione con la perpetua si dicevano delle cose poco edificanti; ed una tale proibizione inviperì sempre più prete Pittui, che per dispetto, strinse maggiormente d'assedio la giovane sposa.
Egli, quando il Tolu era in campagna, se la faceva venire in casa, e tanto fece, disse e promise, che la ragazza, adescata dalla prospettiva d'una vita agiata e dalla speranza d'ereditare definitivamente la carica di sua zia, un bel giorno non tornò più dal marito.

*
* *

Costui se ne addolorò profondamente e decise di vendicarsi di quel prete che, non contento di averlo disonorato, lo derideva quando lo vedeva, e lo minacciava della scomunica quando avesse tentato di ripigliarsi a forza la moglie.
Un giorno, nel dicembre del 1850, mentre il prete si recava a dir messa ad una chiesuola di campagna, fu dal Tolu assalito con una pistola sgangherata; ma volle il caso che quell'arme per ben cinque volte negasse fuoco. Fidente nella robustezza delle proprie braccia, ansioso di vendetta, Tolu si buttò addosso al reverendo e ci volle poco che lo strozzasse. Lo lasciò solo quando lo vide malconcio.

*
* *

Di fronte all'accusa di omicidio mancato di un prete, di fronte alla pena che l'attendeva, il povero giovine, che aveva la coscienza di essere dalla parte della ragione, non volle costituirsi in carcere.
Prese il fucile e si fece bandito.

*
* *

Incominciò allora per lui una vita raminga di battaglie accanite per la sua libertà, serbandosi onestissimo sempre, difendendo i deboli, perseguitando i ladri che infestavano le regioni dov'egli si trovava, simpatico ai buoni, temuto dai malviventi.
Potendo vendicarsi del prete, non lo fece, e quando vide che la moglie andava giù nella china del vizio non la stimò più degna né d'odio né d'amore e più non la curò.
Di lui i testimoni al dibattimento raccontarono aneddoti curiosissimi che spiegano come d'attorno a quel nome di contadino il popolo abbia potuto creare una leggenda.

*
* *

Nel 1852 e 1853 una banda di ladri infestava le campagne di Florinas, ed il Tolu, richiesto dagli onesti paesani, prestò l'opera sua vigorosa, e la disperse, esponendosi al rischio di essere ucciso da uno di essi che gli sparò una pistola a bruciapelo.
Nel 1854 Tolu abbandonò le campagne e si internò nella Nurra, vasta estensione tra Sassari, Alghero e il mare dove non si scorge che qualche casetta abitata da pastori.
Trovò quelle poche famiglie straziate da discordie, ed egli, valendosi delle simpatie che inspirava, fece sedare quelle ire, che duravano già da qualche generazione, e quei pastori, stretti in una nuova e sincera amicizia, vegliavano su lui, ed egli li compensava coi suoi servizi, inseguendo col suo rapidissimo cavallo il bestiame mezzo selvaggio che separava dalle mandrie, o riportando indietro legati i ladri che andassero a far preda sul bestiame che pascolava nelle vaste praterie della Nurra.

*
* *

Un giorno mentre da un'altura il Tolu osservava le circostanti campagne, vide ai piedi della collina due individui che all'abito gli parvero continentali.
Disceso, andò verso di loro e li trovò che piangevano. Erano due poveri piemontesi poco prima depredati di quanto avevano da una banda di malandrini, il cui capo, per intimidirli, si era passato per Giovanni Tolu:
- Siamo ancora in tempo a raggiungerli. Seguitemi, - disse il Tolu ai due derubati.
Dopo percorso un tratto di strada, videro infatti i ladri, che, seduto intorno ad un albero, spartivano il bottino. Tolu fece nascondere i due piemontesi, sparò una fucilata in aria e si pose a gridare:
- Ho ucciso un cinghiale, venite ad aiutarmi.
Quei ladri in tutta fretta accorsero, sicuri di guadagnarsi in quel modo la cena per la sera, ma Tolu, quando li ebbe ad alcuni passi di distanza, spianò il fucile contro il capo e gli disse:
- Io sono Tolu, e tu, ladro, miserabile, ti servi del mio nome per rubare.
Ecco rendere a due piemontesi quanto ad essi era stato rubato, non volle un soldo di compenso; fece un predicozzo ai ladri dicendo che lasciassero la vita disonesta e si allontanò.

*
* *

Disse un teste come in Osilo vivessero due potentissime famiglie nemiche: gli Stacca e gli Achena. Un degli Achena un giorno offerse L. 500 al Tolu perché uccidesse il capo della famiglia degli Stacca. Tolu non solo si rifiutò, ma tanto fece che ottenne una riconciliazione fra le due famiglie.
Individui delle due famiglie, deponendo a favore del Tolu, dicevano:
- Tolu è un Dio.

*
* *

Egli aveva un paio di buoi, - racconta un testimonio, - ed un malvivente glieli uccise.
Vi era un testimonio che aveva visto compiere il maleficio, e Tolu andò a pregarlo e gli disse:
“- Io darò querela, e tu farai da testimonio, e così con la legge potremo distruggere quel malvivente.”
- Io non visto niente, - rispose l'altro, - ed ho paura di quell'uomo. Distruggilo tu stesso col tuo fucile e farai servizio al paese.
- Ciò sarebbe vile assassinio, - replicò il Tolu; - il fucile mio è di legno.
Inutile sarebbe voler enumerare tutti gli aneddoti della di lui lealtà, della di lui generosità e bontà d'animo, che risultarono all'udienza. L'accusa non poté far risultare una sola azione disonesta (all'infuori delle sue difese accanite quando veniva assalito), che valesse a distruggere l'aura di simpatia che inspirò nel pubblico quella narrazione di una vita avventurosa, quella figura maestosa di vecchio sempre sorridente, tranquillo della sua coscienza.

*
* *

Dopo trent'anni di vita errabonda quel vecchio era già stanco di quella lotta implacabile e si arrese senza colpo ferire. Ecco come avvenne l'arresto.
Una di lui figlia aveva sposato un contadino della Nurra ed ivi spesso il vecchio bandito si risposava, ed i nipotini gli facevano festa.
Nella sera dal 21 al 22 settembre quattordici carabinieri furono posti in agguato presso il nascondiglio dove Tolu era solito ricoverarsi, non molto lontano dalla casa del genero.
I carabinieri appostati non lo scorsero, quantunque egli vi fosse, e rimasero tutta una notte li. All'indomani uscì dal nascondiglio e se ne andò nella casa del genero.
Alle undici il maresciallo dei carabinieri, con sette dei suoi, fece circuire la casa. Tolu scappò verso il nascondiglio, ivi trovò gli altri carabinieri e si arrese, cedendo il fucile che gli aveva fatto tanto buon uso per trent'anni, e dal quale aveva legato [?] di pelle per non avere in tentazione di porselo in ispalla.
Il nostro corrispondente di Cagliari disse la lunga via crucis che fu fatta fare al povero Tolu prima che sia stato mandato in giudizio. Si temeva che quei sardi che lo applaudivano dovunque passava, l'avrebbero assolto. Perciò fu mandato a dibattimento, due anni dopo l'arresto, alla Corte d'assise di Frosinone, ed ivi la giustizia fu fatta.
All'udienza il P.M. Chiese al Tolu:
- Come avete vissuto durante i trenta anni?
- Col lavoro indefesso, - egli rispose -
col procurarmi l'amicizia di tutti i buoni sardi, i quali mi sostenevano come aiuto efficace contro i cattivi.
Le imputazioni erano molte.
Alcune erano già prescritte e per altre i difensori sostennero la legittima difesa.
Fra questi vi era il prof. Gavino Scano, un portento d'arte oratoria, e suscitò nell'uditorio un vero fanatismo.

*
* *

- Avete altro ad aggiungere? - chiese il presidente a Tolu finite le difese.
Egli si levò e disse:
- Io non ho mai sparato prima. I carabinieri mi assalivano a fucilate, come se fossi stato una belva, perché sul mio capo pesava una taglia, ed io come una belva mi difendevo.
Il P. M. sostiene che la legge ordinava ai carabinieri di uccidere Tolu, ma Tolu sa che la legge di natura, superiore al Codice, ordina di difendersi da chi uccide ingiustamente.
I giurati gli diedero ragione e lo mandarono assolto fra gli applausi del pubblico.

*
* *

Tolu fu dai giornali chiamato l'ultimo bandito sardo. Se ciò sia vero ve lo dirò un'altra volta.


Vignetta del Dalsani


LA STAMPA
Sabato 25 novembre 1882
LETTERE SARDE
Tolu a Cagliari

Oggetto della generale curiosità è in questi giorni a Cagliari il noto Giovanni Tolu il bandito assolto dalle Assise di Frosinone.
Alle passeggiate, ai teatri è sempre attorniato da una folla di curiosi, avidi di mirarlo da vicino, conoscerlo o farsi narrare le vicende dell'avventurosa sua vita. È un bell'uomo, tarchiato, con lunga barba grigio-ferro, affabile e cortese oltre ogni dire. Un tipo simpaticissimo.

Vignetta del Dalsani



IL CORRIERE DELLA SERA
Venerdì 17 luglio 1896
Le cronache del malandrinaggio
Giovanni Tolu

In questi ultimi giorni è morto in Sardegna Giovanni Tolu, che passava come l'ultimo tipo vivente del bandito classico, generoso, cavalleresco.
Celebre in tutta la Sardegna, non era del tutto sconosciuto nemmeno in continente per un celebre processo tenutosi a Frosinone nel 1882, salvo errore, per suspicione, processo svoltosi pro forma, perché il famoso bandito si era costituito sotto l'egida della prescrizione, dopo aver tenuto la campagna per trentatre (sic) anni.
Quest'uomo viveva ultimamente tranquillo e pacifico, circondato dall'affetto dei suoi cari e di tutti i concittadini, non escluse le autorità che non disdegnavano ricorrere ai suoi lumi superiori, specie nei riguardi della pubblica sicurezza, sul quale argomento non gli si poteva negare una esperimentata competenza.
Giovanni Tolu abitava presso a Sassari una casa colonica del conte di San Pietro. Un giornalista andò a trovarlo recentemente con un amico, il quale così gli raccontava le gesta del celebre bandito.
La causa che lo spinse al bando fu, sia detto a sua lode, delle più nobili.
Offeso nell'onore dalla sua donna che lo tradiva col curato, egli tirò su quest'ultimo parecchie pistolettate mentre si recava a celebrare la messa; ma pare che il poco degno servo di Dio avesse... il diavolo dalla sua, perché i colpi non partirono.
Il Tolu però gli si fece addosso e se lo pose sotto i piedi, riducendolo a mal partito, ma senza ucciderlo.
Per non scontare una pena che egli sapeva di non meritare, si diede alla campagna.
Ma Giovanni Tolu non commise mai la menoma (sic) offesa alla proprietà altrui, gli bastava quello che la pietà e l'ospitalità dei contadini mettevano a sua disposizione.
E avrebbe certo finito col costituirsi e scontare la pena certo non grave, se non avesse avuto la disgrazia di imbattersi un brutto giorno in due carabinieri, che seppure lo cercavano, non lo avevano certo riconosciuto... e di creder necessaria la loro... soppressione.
Ma da quel giorno evitò sempre i conflitti colla pubblica forza; ed assalito, la sua tattica era di fuggire, evitando di sparare.
È vero altresì che un ugual pensiero dovettero avere i carabinieri, che un po' alla volta smisero di dargli noia, un po' per tema della sua carabina, un po' perché le autorità riconobbero che il Tolu era più utile che dannoso alla pubblica sicurezza.
E infatti, come il Tiburzi nel Viterbese, faceva da solo più che una legione di carabinieri; e i malandrini volgari non tardarono a sparire dal suo impero.
Ed impero fu veramente il suo, che arrivò fino al punto di amministrare la giustizia.
L'aureola che lo circondava era tale che egli era chiamato arbitro in tutte le questioni;
innumerevoli furono le famiglie che egli rappacificò, gli odi secolari estinti; e al suo tribunale inappellabile, le sue sentenze nessuno osò mai ribellarsi.
Senza tema di errare si può affermare che se la Nurra è oggi il paese più tranquillo della Sardegna, ciò è dovuto in massima parte a Giovanni Tolu.
Di lui si narrano alcuni aneddoti che meglio di ogni biografia mettono in vera luce il suo carattere.
Alcuni malandrini derubavano in suo nome una signora inglese.
Per puro caso egli si trovò ad incontrare la derubata subito dopo il fatto, che piangendo gli raccontò essere aggredita e spogliata dal Tolu.
Questi si fece indicare la direzione presa dai grassatori, e raggiuntili mentre si dividevano il bottino, intascò oltre 200 lire in oro dicendo ai ladri esterrefatti: - Io sono Giovanni Tolu, uccidetemi se ne avete coraggio. - E tornato dall'inglese le restituì il tesoro dicendole:
ricordatevi che Giovanni Tolu non ruba!

*
* *

Un pubblicista sardo così descriveva poco tempo fa una sua visita a Giovanni Tolu.
Arrivati alla casa del nostro eroe, col pretesto di bere un po' d'acqua, penetrammo in una stanza interna, ove un bell'uomo dalla folta barba brizzolata ci fece sedere, chiedendoci dove eravamo diretti.
Noi rispondemmo con una qualunque bugia; poi, come se gli fosse venuto alla mente in quel punto, l'amico mio disse:
- Abita da queste parti Giovanni Tolu?
- Giovanni Tolu è mio zio, e sta in questa casa.
E, voltosi ad una ragazzetta le disse: 
- Va a chiamare il vecchio, che c'è gente.
Poco dopo entrò un bel vecchione robusto, pingue, dal volto rubicondo e che una candida barba fa rassomigliare ad un pope russo.
Quello che colpisce nella sua fisonomia (sic) sono gli occhi cerulei, pieni di vita e di furberia, che spandono un'aria giovanile sul volto abbronzato, illuminandolo quasi di quella vernice – mi si passi il paragone – che fa credere usciti ieri dallo studio i capolavori pittorici del “Rinascimento.”
E compresi allora come quel vecchio atleta avesse potuto resistere a 33 anni di vita raminga, tra i disagi ed i pericoli, le ansie e le lotte di una belva inseguita.
A semplice titolo di curiosità vi riporto qualche brano della mia “intervista.”
- Come avete fatto a vivere per tanto tempo?
- Dove dormivate?
- Tutte le case erano mie; chiedevo, e tutti mi davano ospitalità e da mangiare.
- Non credete che lo facessero per paura?
- Paura di che ? Io non facevo male a nessuno: lo facevano per umanità.
- E se qualcuno si fosse rifiutato di darvi aiuto?
- Èimpossibile; il contadino sardo non nega mai a chi chiede per favore!
Ecco pensai, una delle cause principali per cui sarà difficile estirpare il brigantaggio in Sardegna; poi chiesi:
- Che!... io andavo sempre nelle case dei poveri; ed i carabinieri vanno dove c'è da mangiar bene! - Cosa ne pensate dei carabinieri? 
- Ve n'ha di buoni, e di cattivi; io ebbi la disgrazia di imbattermi coi cattivi; ed ho sparato!
- Quali sono per voi i cattivi carabinieri?
- Quelli che vanno a dar noia ai banditi onesti.
- Ce n'è banditi nei dintorni?
- Uno, e indicava una montagna vicina: Pietro Fiori, un bravo giovinotto che ha ucciso il suocero.
Per volgere il discorso a un argomento più interessante, gli chiesi quasi invitandolo a raccontarmi la sua storia:
- Se ne raccontano delle belle sul vostro conto...
Non l'avessi mai detto: avete mai visto la lumaca a toccarle un corno? Si fece scuro in viso, e con aria tra il burlesco ed il canzonatorio:
- Voi volete scrivere eh?... ne son venuti tanti, e ultimamente un francese ed un inglese... ma senza soldi l'orbo non canta; voi vi volete arricchire col mio sangue... e io moro di fame; a una sola persona ho raccontato tutto; e questa persona m'aiuta a patto che non dica nulla agli altri... però... se si mangia in due, allora è un altro affare, ed io vi faccio fare un bel romanzo!...
Invece di accettare la proposta di Giovanni Tolu, da vero idiota me ne tornai malinconicamente indietro, pensando a quel povero vecchio che un tempo era stato poco meno d'un eroe, e che ora come Belisario è caduto in tanta disgrazia.
Les Dieux s'on vont! - dissi al mio amico non meno avvilito di me; e voltandoci istintivamente prima di perder di vista la casa del Tolu, lo scorgemmo immobile che ci guardava con un cipiglio non troppo rassicurante.
E forse avrà pensato:
- Che imbecilli! Chi sa quanti chilometri hanno fatto per venirmi a trovare!
E io non esito a dargli tutte le ragioni del mondo.

Vignetta del Dalsani


LA STAMPA
Lunedì 26 luglio 1897
Nuove pubblicazioni
mandate alla Stampa

ENRICO COSTA: Giovanni Tolu, storia di un bandito sardo, narrata da lui medesimo, preceduta da cenni storici sui banditi del Logudoro, con vignette di Dalsani, - Sassari, Premiato Stabilimento tipografico G. Dessì.
Volumi L. 3.
Quando si dice la forza del contagio! La moda delle autobiografie ha guadagnato perfino i banditi, ed ecco le memorie di Giovanni Tolu, raccolte con scrupolosa cura dal Costa e pubblicate in due volumi con eleganza di tipi e con illustrazioni dal Dessì, di Sassari. Noi non vogliamo punto negare che queste memorie siano interessanti sotto vari aspetti, né d'altra parte confondiamo il Tolu, bandito sardo, con Ninco Nunco ed altri consimili briganti: il bandito si dà per lo più alla macchia per spirito di vendetta, mentre il brigante non sogna che la rapina, e di rapina vive e di furti e di omicidii.
Tuttavia ci sembra che anche per un bandito, il quale, in fondo, non si raccomanda per gesta eroiche speciali, due volumi e seicento pagine siano di troppo, e che la curiosità pubblica – giacché qui non si tratta di studi scientifici – potrebbe avere un migliore e proficuo indirizzo.

Frontespizio del libro del Costa


Vignetta del Dalsani



IL CORRIERE DELLA SERA
Giovedì 16 settembre 1897
Psicologia criminale
Le confessioni di Giovanni Tolu

Verso gli ultimi di novembre dello scorso anno, rientrando nel suo studio a Sassari,
Enrico Costa vi trovò un vecchio, che da mezz'ora lo aspettava.
Richiesto del motivo della sua venuta, il vecchio rispose con una domanda:
- È vero che lei ha scritto la storia di Giovanni Tolu, il bandito? Avrei piacere di leggerla.
- Non ho mai scritto storie di banditi viventi. - Rispose Costa.
Il vecchio, senza punto scomporsi, ripigliò con sussiego:
- Se lei non l'ha scritta, è certo che ben presto la scriverà!
- E perché dovrò scriverla?
- Perché gliela dirò io, che sono Giovanni Tolu in persona.
La strana presentazione sorprese Costa non poco; tuttavia rispose:
- Non so davvero perché lei voglia narrarmi la sua storia, né perché io debba scriverla.
- Le dirò sinceramente – rispose il vecchio – che oramai sono stanco e infastidito delle fandonie che si vanno spacciando sul mio conto. Lungo la mia vita di bandito e d'uomo libero – per oltre quarant'anni – si dissero e si stamparono sui miei casi inesattezze tali, che mi preme rettificare. Non voglio colpe, né virtù che non mi spettano. Fui intervistato da un numero infinito di curiosi, italiani e stranieri, ma non volli finora aprire l'animo mio ad alcuno. Oggi solamente mi sono deciso a fare una confessione generale schietta, veridica, senz'ombra di vanità, né di secondi fini.
Esporrò lealmente i casi della mia vita, persuaso che il racconto delle mie avventure desterà nel pubblico una curiosità non infeconda di ammaestramenti; di ammaestramenti per tutti: per le famiglie, per i giudici, per i disgraziati miei pari, ed anche per il Governo, se vorrà trarne profitto.
A settantaquattro anni non si hanno più speranze, nè timori; ed è perciò che voglio presentarmi al pubblico intiero, quale realmente fui, spogliando la mia vita da tutti gli episodi fantastici e bugiardi, di cui vollero infiorarla il volgo ed anche i signori. Ecco perché voglio narrare la mia storia.
Dopo qualche esitazione, Enrico Costa accettò la strana proposta.
Giovanni Tolu si fermò a Sassari e gli dettò la sua lunga storia.
Seduti dinanzi al camino, caricando o scaricando la sua pipa, il vecchio bandito (ora in buon sardo ed ora in cattivo italiano) prese a narrargli i casi della sua vita, risalendo ai nonni; e filò sempre diritto, per venticinque giorni, con un ordine ed una chiarezza che Costa non si aspettava.
Circostanze minuziose, dialoghi, nomi di persone e di località, episodi d'ogni genere, tutto egli espose scrupolosamente, senza mai confondersi né contraddirsi.
- Io voglio narrare il bello ed il brutto – diceva ogni tanto. A lei buttar via ciò che crede inutile e insignificante.
Da questo strano racconto uscì una singolare autobiografia pubblicata in questi giorni in due volumi (Enrico Costa, Giovanni Tolu, storia di un bandito narrata da lui medesimo, Sassari, Giuseppe Dessì editore, 1897) che portano un buon contributo alla storia della delinquenza e un ricco materiale di studii (sic) per i cultori della psicologia criminale.

*
* *


Giovanni    Tolu    che,   come   i   lettori ricorderanno, è morto pochi mesi or sono, era un tipo caratteristico di bandito sardo.
Datosi  alla  campagna  dopo  aver tentato di assassinare un prete, che aveva ostacolato il suo matrimonio, diventato, cioè, bandito dopo una delle solite vendette, visse alla macchia per  ben trent'anni senza commettere furti né omicidii  per  mandato, ma uccidendo parecchi carabinieri    che    avevano    tentato   di catturarlo, e sopprimendo varie spie. Carezzato  da  deboli  e  da  prepotenti, per bisogno  o  per  paura,  era  diventato  così popolare,  che  si ricorreva spesso a lui per consiglio   e   s'era   arrivati   perfino  a nominarlo    sotto   capo   della   compagnia barracellare  del suo paese, Florinas, sicuri che  i  ladri  non avrebbero osato toccare le proprietà  messe  sotto  la  protezione di un bandito così temuto.
Quest'uomo così astuto che seppe sfuggire per tanti  anni  agli  agguati  dei suoi nemici e della    forza    pubblica,   era   viceversa superstizioso come una femminetta. 
Egli  credeva che quando il prete nella messa recita più di tre orazioni, compie una brutta azione,  cioè  fa  le  legature a  danno  di qualcheduno. E     quando,     durante    gli impedimenti   che   il   prete   di  Florinas frapponeva al suo matrimonio, fu tormentato a certi dolori alle ossa, Giovanni Tolu si mise in testa che quei dolori erano conseguenza delle fattucchierie del prete stesso.
Il peggio si è che tali superstiziose credenze del volgo erano alimentate dall'ignoranza o dalla furberia di chi aveva il dovere di combatterle.
Così per togliersi di dosso la supposta malia, Tolu ricorre ad altri preti.
« Mi rivolsi, primo fra tutti al nostro vice parroco Giovanni Stara, un buon prete esemplare, molto povero. Egli si munì di stola, di aspersorio e di breviario, e cominciò gli esorcismi. Per tre volte ricorsi a lui, e devo dichiarare che fra i consultati fu il più efficace nella cura. I miei dolori non cessarono, ma diminuirono sensibilmente e mi diedero tregua per qualche settimana. »
Più tardi avendo saputo che nel villaggio di Ossi era un prete, certo Valerio Pes, assai potente negli scongiuri, montò a cavallo e andò a visitarlo. 
«Come il vice parroco Stara, egli mi fece mettere ginocchioni, mi lesse il breviario, mi asperse d'acqua santa, e mi raccomandò di ripetere la prova altre due volte. Dopo i tre esperimenti gli dissi che i miei dolori erano più intensi e che non avevo sentito alcun miglioramento. Allora il reverendo Pes mi confessò addirittura che egli si trovava in una condizione eccezionale. Anche lui era un fatturato, per legatura fattagli da un prete nemico, il cui potere era maggiore del suo. A ciò dovevo attribuire la vera causa dell'inefficacia degli esorcismi.»
Tolu ricorse allora al rettore di Dualchi che lo guarì (dice lui) facendogli inghiottire per quaranta giorni dei pezzetti d'ostia e dell'olio benedetto! 


*
* *

Ma c'è qualche cosa di più strano ancora. Prima di uccidere una spia, Tolu chiedeva consiglio alla Madonna ed ai santi.
Così quando decise di ammazzare un certo Salvatore Moro, racconta:
« Lungo il cammino io invocai colla mente la Beata Vergine perché mi illuminasse la coscienza, rivelandomi se il mio compagno meritasse la morte. In coscienza mi rispose di si, e fui tranquillo. Raccomandai pure l'anima mia al Signore, nel caso in cui fossi rimasto soccombente. Non ho mai trascurato simili pratiche religiose lungo il corso della mia vita. »
E dopo aver narrato come uccise il Moro con una fucilata nella testa, Tolu continua:
«Prima mia cura fu quella di ricaricare il mio fucile, appoggiando il calcio sul corpo del caduto: indi recitai un'Ave Maria e un Requiem per il trapassato.
Io ho sempre ucciso il corpo, non l'anima dei nemici; l'anima ce l'ha data Iddio, e Dio deve riprendersela; il corpo è della terra e alla terra deve ritornare. 
«Recitata la preghiera, afferrai per un braccio il cadavere, lo trascinai per breve tratto e lo lasciai cadere nello spacco di una roccia vicina.
« Dopo di che, coll'animo tranquillo, continuai tutto solo la mia strada. »
I suoi libri prediletti di lettura erano l'ufficio della Beata Vergine, i Reali di Francia e una piccola Bibbia del Diodati.
« Quantunque bandito, non ho mai tralasciato le mie pratiche religiose. Leggevo sempre l'ufficio della Beata Vergine; recitavo le orazioni del mattino e della sera; pregavo per i defunti e frequentavo la chiesa e la confessione.
« Il rettore Dettori, di Florinas, mi conduceva dentro la chiesa, facendomi passare per una scaletta segreta, che dalla sua casa vi comunicava. Mentre al di fuori i barracelli facevano la guardia, io, bandito, tutto solo col prete, servivo ed ascoltavo la messa allo stesso tempo, e mi confessavo una volta all'anno. » 


*
* *

Un'ultima citazione per finire.
Dopo aver ucciso, da solo, a coltellate, Francesco Rassu, la spia ch'egli più temeva, Tolu racconta: 
« Quando più tardi giunsi a conoscere la perizia giudiziaria sull'assassinio di Francesco Rassu, un sorriso di compassione mi venne sulle labbra. Il medico ed i periti avevano dichiarato che la vittima era stata assalita da quattro uomini, e che la prima ferita alla nuca era stata prodotta da un colpo di bastone. Fu parimenti dichiarato che Francesco era stato grassato dopo aver ricevuto oltre trenta ferite. Fidatevi ora delle perizie dell'autorità giudiziaria! »


Altre vignette del Dalsani


*Citare sempre fonte e autore.



I cargeghesi presenti nell'Albo d'oro dei caduti della Grande Guerra

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Biosa Luigi di Giovanni

Sardegna - (Vol XIX) CA - SS-29-1
Soldato 210° reggimento fanteria*, nato il 5 aprile 1896 a Cargeghe, distretto militare di Sassari, morto il 7 luglio 1916 nell'ospedale da campo n. 8 per ferite riportate in combattimento.
*Brigata “Bisagno”


Manconi Luigi di Salvatore

Sardegna - (Vol XIX) CA - SS-208-27
Soldato 151° reggimento fanteria*, nato il 16 agosto 1883 a Cargeghe, distretto militare di Sassari, morto il 21 dicembre 1916 sull'altipiano di Asiago per ferite riportate in combattimento.
*Brigata “Sassari”


Nuvoli Francescodi Antonio

Sardegna - (Vol XIX) CA - SS-277-22
Guardia II battaglione R. guardia di finanza, nato il 17 dicembre 1888 a Cargeghe, distretto militare di Sassari, morto il 6 luglio 1915 sul Podgora per ferite riportate in combattimento.


Pittalis Pietrodi Giovanni

Sardegna - (Vol XIX) CA - SS-334-2
Soldato 10° reggimento artiglieria da fortezza nato il 9 dicembre 1891 a Cargeghe, distretto militare di Sassari, morto il 28 aprile 1918 in prigionia per malattia.


Ruiu Francescodi Agostino
Decorato di medaglia d'argento al V. M.

Sardegna - (Vol XIX) CA - SS-361-20
Sergente 39° reggimento fanteria*, nato il 6 maggio 1894 a Cargeghe, distretto militare di Sassari, morto il 22 agosto il 1917 sul Carso per ferite riportate in combattimento.
*Brigata “Bologna”


Decorazione
Ruiu Francesco da Gargeghe - sic - (Sassari), sergente 39 reggimento fanteria n. 31932 matricola – primo fra tutti con mirabile slancio arrivava sulla posizione nemica e concorreva a respingere diversi contrattacchi avversari. Mentre impavido costringeva alla resa due nemici, veniva colpito a morte. Korite, 22 agosto 1917.

Motivazioni decorazione

Ruiu Giovanni (Maria)di Francesco

Sardegna - (Vol XIX) CA - SS-361-27
Soldato 90° reggimento fanteria*, nato il 22 febbraio 1883 a Cargeghe, distretto militare di Sassari, morto il 23 dicembre 1817 in prigionia per malattia.
*Brigata “Salerno”


Zirattu Vittoriodi Maurizio

Sardegna - (Vol XIX) CA - SS-361-27
Soldato 5° reggimento genio*, nato il 26 maggio 1895 a Cargeghe, distretto militare di Sassari, morto il 2 luglio 1916 nel settore di Tolmino per ferite riportate in combattimento.
*5° reggimento genio guastatori



Extra
Decorato cargeghese Grande Guerra

Ruiu Giovanni(di Francesco)
Croce di guerra al Valor Militare

Da Cargeghe (Sassari), caporale maggiore 45 reggimento fanteria*, n. 13286 matricola. - Comandante di squadra si distingueva in combattimento per ardire, coraggio e sprezzo del pericolo. - Montello, 16 giugno 1918.
*Brigata "Reggio"

Motivazioni decorazione



Il dottor Gavino Mulas tenne la condotta dal lontano 1956 al 1998* Commozione a Muros e Cargeghe per la morte del medico-missionario

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La scomparsa del dott. Gavino Mulas, medico condotto di Cargeghe e Muros per ben trentadue anni, la cui attività medico-missionaria è tratteggiata nelle colonne della Nuova Sardegna dal corrispondente di zona Pietro Simula nel 1999.

CARGEGHE _ L'improvvisa scomparsa del dottor Gavino Mulas, medico condotto di Cargeghe e di Muros dal 1956 al 1988, ha suscitato profonda commozione tra gli abitanti dei due comuni. Commozione ed emozione, perché col dottor Mulas se ne va una delle ultime figure di medico-missionario che, in tempi ancora non molto lontani, rappresentavano insieme al parroco del paese, un punto di riferimento insostituibile per la popolazione. Gavino Mulas era nato a Mores nel 1917. Prese possesso della condotta di Muros e Cargeghe nell'aprile del 1956, quando a Muros era ancora parroco "babai" Varsi e a Cargeghe don Bartolomeo Demartis, anch'essi rimasti impressi nella memoria e nella storia dei due paesi per il loro impegno e per la dedizione totale. Gavino Mulas divenne subito quel che allora doveva essere un medico: un missionario, che si dedicava anzitutto alla salute dei suoi pazienti, ma entrava poi nelle pieghe di tutti i loro problemi e delle loro famiglie, andando col suo intervento anche oltre il dovere professionale. «Non aspettava i suoi pazienti in ambulatorio _ raccontano _ ma era solito andare a trovarli a casa». Il dottor Mulas si occupava di tutto: dalla iniziezione che praticava di persona al parto che seguiva insieme alla levatrice. Essendo poi in quei tempi lontani l'unico a possedere un'automobile, quando si presentavano le urgenze, accompagnava lui stesso il malato a Sassari, all'ospedale, e anche qui continuava a seguirlo, tenendosi a contatto con i medici. Era il tipico medico di una volta, senza orari e senza il supporto del servizio di guardia medica, sempre a disposizione a tutte le ore del giorno e della notte. «Non sono riuscito ad andare a letto», si sfogò una volta con un sorriso, facendo intravedere il pigiama sotto i pantaloni, mentre si recava di prima mattina da un altro paziente. Sempre efficiente, giovanile, burbero e gioviale a un tempo, Gavino Mulas era un uomo di spirito, dalla battuta pronta e dai mille interessi. Coltivava numerosi hobbies e disponeva di una fornitissima biblioteca, da cui attingeva per sé, ma anche per i ragazzi ai quali era solito consigliare le sane letture. Nel 1988, dopo aver "cresciuto" ben quattro generazioni di cargeghesi e di muresi, a settant'anni andò in pensione. Continuò a vivere gli ultimi anni della sua vita nella casa che aveva costruito a Cargeghe. Con la sua scomparsa per i muresi e i cargeghesi è come se fosse mancata una persona di famiglia, alla quale si erano affezionati e verso la quale sentono profonda gratitudine. Pietro Simula

Archivio, La Nuova Sardegna, 3 febbraio 1999

*1988, refuso dell'articolista

Cargeghe negli atti parlamentari del Regno di Sardegna (1626-1796)

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a cura di Giuseppe Ruiu


Acta Curiarum Regni Sardiniae
CRS Consiglio Regionale della Sardegna



Il Parlamento Straordinario del Viceré Gerolamo Pimentel Marchese di Bayona (1626), Volume 16, a cura di Gianfranco Tore, 1998, pagg 220, 309.

128
1626 marzo30, Ittiri.
Giovanni Maria Paduano e Pietro Paolo Sussarello, donnicelli di Sassari domiciliati in Ittiri, nominano loro procuratore Francesco manca de Homedes di Sassari, signore della Baronia di Usini e Tissi, perché li rappresenti davanti al Viceré e nello Stamento Militare. (…)

Testes Juan Cano de la presente villa y Juan Muno de la villa de Cargiegue. (...)

*

201
1627 settembre 1, Cagliari.
Il Marchese di Bayona, Viceré di Sardegna, informa il sovrano di avere confrontato il censimento fiscale disposto dalle Corti per il riparto del donativo con quello effettuato ai tempi del Viceré Moncada e con un altro che egli, per tutelare gli interessi di tutti i contribuenti, ha ordinato venisse effettuato in gran segreto dall'inquisizione. (…)

Fogamiento del reyno de Cerdeña
Hecho en el año 1627

(…)
Fuegos Viejos - Fuegos nuevos - Inquisiçion - Fogamento per donde se cobra

La encontrada de Monti Leo tiene tres villas
y la primera es Romana 96 - 99 - 134 - 134 
Villa de Monti Leo 52 - 55 - 72 - 72  
Villa Nova 96 - 112 - 209 - 200
La villa de Cosayne 233 - 181 - 207 - 181
La villa de Chave 254 - 204 - 241 - 241
La villa de Banari 95 - 28 - 87 - 87
La villa de Siligo 158 - 68 - 144 - 144
La villa de Monti Santo 32 - 16 - 23 - 23
La villa de Poaghe 445 - 406 - 470 - 470
La villa de Salvenero 37 - 20 - 37 - 37
La villa de Bedas 12 - 8 - / - 37
La villa de Quadrengianos 207 - 130 - 174 - 174
La villa de Florines 182 - 158 - 266 - 266
La villa de Cargiegue 120 - 73 - 146 - 146
La villa de Secargie 0 - 3 - / - 3

**

Il Parlamento del Viceré Nicola Pignatelli Duca di Monteleone (1688-89), Volume 22/II, a cura di Federico Francioni, 2015, pag. 885

Ripartimento del donativo

313
1688 giugno 24, Cagliari.
È la ripartizione del donativo di 70.000 scudi (secondo i fuochi rilevati da un'apposita commissione) la cui esazione parte dal primo gennaio 1688 e ricopre un arco di tempo di 10 anni.
(…)

Baronia de Ploague
FUEGOS - HOMBRES - MUJERES - LIBRAS

292  Ploague 465 - 594 - 512 - l. 12 s. 5
206  Florinas 289 - 359 - 361 - l. 12 s. 10
246  Codrongianos 201 - 230 - 431 - l. 17 s. 4
61   Cargiegue 77 - 87 - 107 - l. 1 s. 9
14   Santvenero 24 - 24 - 24 - l. 11  s.  6
___  ____   ____    ____   _____  __
819  1056 - 1393 - 1437 - l. 15 s. 10/


**

Il Parlamento del Viceré Giuseppe de Solís Valderrábano(1698-1699), Volume 23/I-II-IV, a cura di Giuseppina Catani e Carlo Ferrante, 2004, pagg 311-12, 325, 833, 1973

132
1697 dicembre 30, Ozieri.
Antonio Giuseppe Madao, notaio, certifica che don Geronimo Sotgiu Sini, ufficiale della villa di Ozieri e del Monte Acuto, ha consegnato le convocazioni a don Giovanni Gerolamo Ladu, (…); certifica inoltre che non sono state consegnate le convocazioni a don Antonio Soliveras, (…) perché deceduti; a don Giovanni Grixoni, Sebastiano Tola e Francesco Satta perché si trovano rispettivamente, i primi due ad Alghero e l'altro a Cargeghe; (…)

Certifico y ago fe de verdad yo Antonio Joseph Madao, nottario, de como el noble don Geronimo Sotgiu y Sini, official d.esta villa y partido de Monti Agudo, ha entregado (…) en proprias manos de don Juan Geronimo Ladu, (…) todos de la villa de Ossier, las letras convocatoria d.este presente año de 1697, en la quales ordenas y manda a todos los sobredichos que hayan de paresser en la çiudad de Caller por sy o por sus procuradores de la mesma calidad en los 26 de henero primero venidero de 1698, que es el dia que se ha de celebrar el real y general Parlamento. (…). y tambien certifico que a don Antonio Soliveras, (…) d.esta villa por estar muertos no se les ha dado convocatoria; (…) a don Juan Grixoni no se la ha dado por estar en Alguer, Francisco Satta¹ por estar enGalzegue [sic], (…), en Ossier y deciembre 30 de 1698.
(...)


*

147
1697 dicembre 27, Ploaghe
Giovanni Sole Quessa, notaio pubblico, certifica che Michele de Rieca, luogotenente della villa di Ploaghe, ha consegnato le convocazioni a don Michele Dies e a suo figlio Michele, (…) tutti della villa di Ploaghe, a Francesco Satta della villa di Cargeghe, (…).

Certifico y ago de verdad yo Juan Sole Quessa, nottario publico comorante en esta villa de Ploague, de como Miguel de Ricca, lugartiniente d.esta baronia de dicha villa, ha entregado en mi presensia (…) en propia manos, del noble don Miguel Dies (…) todos d.esta villa de Ploague. Francisco Satta, comorante en la villa de Cargiegue se.le ha entregado las convocatoria en presensia de Juan y Julian Carta de dicha villa de Cargiegue; (…).

*

235/1
Allegati ai capitoli della città di Alghero.
(...)
Marquesats baronies, encontradas y villas enfeudadas al escrutini de esta illustre y magnifica ciudad de Alguer son las seguentes:
(…)
Encontrada de Ploague
Ploague 25 rasers
Codrongiano 18 rasers
Florinas 20 rasers
Cargiegue 12 rasers
Salvenere no paga

*

926
1698 marzo 8, Cagliari (Aula dell'Arcivescovado).
La giunta prosegue nelle abilitazioni dei rappresentanti degli Stamenti e dei rispettivi procuratori.
(…).
Francisco Satta y don Joseph Solinas de Cargiegue y Ploague respective admitantur con voto y por ellos su procurador el noble don Valeriano Servent, cuya procura se habilita.
(...)

**

L'attività degli Stamenti nella “Sarda Rivoluzione”, atti dello Stamento Reale e dello Stamento Militare, anni 1796-1797-1798-1799, con un appendice per gli anni 1804-1824, Volume 24/I, II, IV, a cura di Luciano Carta, pagg 82-83, 133n, 454, 493, 1242, 1251, 2206, 2223.

2.
Le «cinque domande»: una piattaforma politica autonomista
(...)
I notai della baronia di Ploaghe, feudo appartenente alla prima voce dello Stamento don Ignazio Aymerich, comunicano il 18 maggio di aver notificato nei quattro villaggi che la costituiscono sedici convocatorie: cinque a Ploaghe, quattro a Cargeghe, quattro a Codrongianus, tre a Florinas.
(…)

*

3.
L'insurrezione cagliaritana del 28 aprile e la vittoria del partito patriottico
(...)
L'adesione all'invito della prima voce, per quanto significativa, non raggiunge, almeno a giudicare dalle procure, i livelli dell'anno precedente. Risposero infatti all'appello centoventicinque deputati che fecero pervenire settantatre deleghe (302).
(…)
(302) Cfr. ACC Fondo Aymerich, Stamento Militare, busta 6, Deleghe di voto 1794, 1796, 1804, 1827. Delle settantatre deleghe, undici sono rogate a Sassari da 18 membri dello Stamento (…), due a Cargegheda tre (cfr. docc. 157/44, 157,74, (…).

*

28
1793 aprile 29, Cagliari (Chiesa del Santo Monte)
Annunciata secondo l'uso dal tocco della campana, si apre nella chiesa del Santo Monte alle otto del mattino la seduta plenaria dello Stamento militare alla presenza del giudice Giuseppe Valentino, delegato del Viceré. Vengono dichiarati presenti sessantaquattro membri dello Stamento, sebbene il verbale ne enumeri sessanta. (…)
(…) si è riconosciuto essere il numero dei comparenti di sessantaquattro: ciascuno de' quali, avendo ritirato le rispettive procure in loro capo spedite, e state nella precedente sessione consegnate agli illustrissimi signori cavalieri dottori don Francesco Mannu, e don Giambattista Serralutzu per farne l'opportuno esame, disse di accettare solamente, e consegnò al segretario infrascritto quelle de' soggetti che si trovano in seguito al nome d'ognuno di essi comparenti, come appresso descritti.
E sono gl'illustrissimi signori:
(…)
cavaliere Venceslao Armerino, e per don Luigi Flores di Codrongianus, don Francesco Giuseppe Flores, e don Francesco Giuseppe Nurra di Cargeghe (9); (…).

(9) Cfr. doc. 28/47, 28/48.

*

28/48
1793 aprile 19, Cargeghe.
I due nobili di Cargeghe don Francesco Giuseppe Flores e don Francesco Giuseppe Nurra, non potendo recarsi personalmente a Cagliari «por sus muchas occupassiones y distancia de lugar» per partecipare alle sessioni dello Stamento militare convocato con circolare in data 4 aprile, costituiscono come loro procuratore il cavaliere Venceslao Armerino. Fungono da testimoni Antonio Cherchi e Antonio Dessolis. Notaio rogante Pietro Spanu. L'atto è redatto in lingua spagnola (1).

(1) Cfr. H, cc. 112-113v.

*

157/44
1794 maggio 21, Cargeghe.
Il cavaliere Francesco Satta di Cargeghe, non potendo «por sus diarias ocupassiones en la ciudad de Caller capital de este Reyno en persona passar» al fine di intervenire alle sedute dello Stamento militare alle quali è stato convocato, costituisce come suo procuratore don Ignazio Musso di Castellamonte. Sono presenti per testimoni Luigi Tola e Giuseppe Bazoni, analfabeti, per i quali sottoscrive l'atto il notaio rogante Luigi Serra. La procura è redatta in lingua spagnola (1).

(1) Cfr. I, cc. 48-49v., 107-107v.; c. 107v. Titoletto: Procura para assistir a los congressos se haran por el ilustrissimo Estamento militar, firmada por el cavallero Francisco Satta de la villa de Cargieghe. Serra notario.

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157/74
1794 maggio 17, Cargeghe.
I nobili di don Francesco Giuseppe Flores e don Francesco Giuseppe Nurra,entrambi di Cargeghe,
«no pudiendo personalmente passar en la ciudad de Caller por la distancia del lugar»al fine di intervenire alle sessioni dello Stamento militare, costituiscono come loro procuratore don Francesco Lostia. Sono presenti come testimoni Antonio Salvatore Branca Flores e Antonio Dessolis. Notaio rogante Pietro Spanu. La procura è redatta in lingua spagnola (3).

(3) Cfr. I, cc. 78-79v. (quest'ultima c. è bianca).

*

560/1
1796 gennaio 27, Cagliari.
I tre Stamenti in una articolata supplica a Vittorio Amedeo III, ripercorrono i momenti salienti del malgoverno del conte Galli, chiamato a sostituire il conte Avogadro nella spedizione degli affari di Sardegna nel marzo 1795; al conte Galli gli Stamenti attribuiscono tutta la responsabilità della grave situazione di instabilità dell'isola, per cui ne chiedono ancora una volta la rimozione.

(…)
All'indomani passando ne' territori di Florinas, e Cargeghe quell'esercito di volontari si rese più numeroso, e più forte concorrendo in gran numero i paesi, e dai villaggi circonvicini, e dalle parti più remote. S'imbatterono in quei luoghi col Gioachino Mundula di Sassari, che rimpatriavasi di ritorno da Cagliari, e fu trattenuto assieme ad alcuni viandanti di suo seguito. (…).

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564/2
[1796 gennaio, Cagliari]
I due capi della sollevazione contadina contro la città di Sassari espongono in una lunga relazione indirizzata agli Stamenti le circostanze che hanno portato all'assedio e alla capitolazione di Sassari e alla traduzione a Cagliari del governatore e dell'Arcivescovo turritani.

[Relazione del notaio Francesco Cilocco e dell'avvocato Gioachino Mundula]
(…) La mattina del giorno 27 detto (Francesco Cilocco - ndc) detto fu obbligato marciare coll'istessa compagnia, e di molti altri che in confluenza concorrevano, e mentre si trovava nei contorni / dei villaggi di Florinas, e Cargeghe, viddero da lontano l'avvocato Gioachino Mundula, che di ritorno da Cagliari marciava verso la sua patria in compagnia del conciatore Antonio Maria Carta, e del viandante Cosimo Auleri, ed all'oggetto di raggiungerlo si distaccarono venticinque, o trenta uomini, da quel corpo a briglia sciolta: lo fermarono sin tanto che arrivasse detto Cilocco per unirlo alla stessa compagnia e comunicatagli l'idea, che aveva quella moltitudine de' villici, marciarono assieme verso Sassari. (…)



***

Sos Mannos: i cargeghesi più anziani tra ottocento e novecento

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a cura di Giuseppe Ruiu


- 99 anni -
Antonio Secchi, 1845* - 1944

- 98 anni -
Francesco Dettori, 1829 - 1927
Maria Bazzoni, 1885 - 1983

- 97 anni -
Maria Geronima Soletta, 1871 - 1968

- 95 anni -
Giovanni Maria Manconi, 1854 - 1949
Maria Grazia Pittalis, 1885 - 1980
Maria Vittoria Ruiu, 1893 - 1988

- 94anni -
Domenico Oggianu, 1858 - 1952
Caterina Brandino, 1863 - 1957
Giovanni Luigi Saba, 1874 - 1968
Speranza Falchi, 1879 - 1973
Giuseppina Corona, 1892 - 1986

- 93 anni -
Quirica Uda, 1839 - 1932

- 92 anni -
Antonio Pietro Manus, 1865 - 1957
Teresa Deriu, 1877 - 1969
Quirico Sanna, 1880 - 1972
Agostina Maria Angela, 1885 - 1977

- 91 anni -
Antonio Francesco Manca, 1877 - 1968
Angela Mesina, 1879 - 1970

- 90 anni -
Raimonda Marras, 1811 - 1901
Giuseppe Oggiano, 1829 - 1919
Maurizio Ara, 1832 - 1922
Giovanna Maria Gavina Dore, 1849 - 1939
Maria Gavina Dore, 1855 - 1945
MariaBaingia Ledda, 1894 - 1984

- 89anni -
Quirica Dettori, 1859 - 1948
Maria Antonia Ara, 1860 - 1949
Giuseppa Merella, 1862 - 1951
Antonio Maria Bazzoni, 1867 - 1956
Giuseppe Garaglia, 1973 - 1962
Beniamino Bazzoni, 1888 - 1977

- 88anni -
Giovanni Maria Pinna, 1834 - 1922
Giovanni Maria Spada, 1842 - 1930
Maria Filippa Pilicchi, 1851 - 1939
Caterina Angela Soro, 1881 - 1969
Maddalena Quirica Bazzoni, 1883 - 1971
Lucia Ruiu, 1886 - 1974
Agnese Sanna, 1888 - 1976
Luigi Cherchi, 1890 - 1978
Salvatore Madau, 1892 - 1980
Pietro Filippo Marongiu, 1898 - 1986
Andrea Bazzoni, 1900 - 1988

- 87anni -
Francesco Dore, 1860 - 1947
Giovanna Francesca Porcheddu, 1878 - 1965
Quirico Sanna, 1881 - 1968
Salvatore Tanca, 1881 - 1968
Caterina Bazzoni, 1887 - 1974
Giuseppe Maria Lobino, 1888 - 1975

- 86anni -
Antonio Francesco Satta, 1841 - 1927
Andrea Bazzoni, 1843 - 1929
Giovanna Maria Ruju, 1853 - 1939
Maria Antonia Marche, 1855 - 1941
Maurizio Pais, 1876 - 1962
Antonio Francesco Marras, 1878 - 1964
Giovanna Maria Nuvoli, 1881 - 1967
Giuseppa Sanna, 1882 - 1968
Maria Caterina Bazzoni, 1884 - 1970
Giovanni Quirico Ruiu, 1885 - 1971
Pietrina Garau, 1895 - 1981

- 85anni -
Giovanni Maria Manca, 1839 - 1924
Antonio Ruju, 1848 - 1933
Giovanna Pinna, 1850 - 1935
Giovanni Zara, 1851 - 1936
Antonio Ruiu, 1859 - 1944
Giovanni Antonio Spanedda, 1866 - 1951
Giovanna Maria Pinna, 1874 - 1959
Pietro Maria Billi, 1880 - 1965
Maria Vittoria Scanu, 1883 - 1968
Giovanni Antonio Sechi, 1889 - 1974
Filippa Manconi, 1889 - 1980
Antonio Maria Solinas, 1900 - 1985


* Date di nascita desunte dalle registrazioni parrocchiali di decesso.  
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